sabato 7 agosto 2010

Recensione sull'Ansa

"Donne, vodka e gulag" libro del giorno dell'Ansa! La recensione, tra l'altro, è stata ripresa dal sito di Panorama.

LIBRO DEL GIORNO:STRELTSOV, PELÈ RUSSO CHE FINÌ IN GULAG/ANSA
DA NAZIONALE A CONDANNA, STORIA DI UN TALENTO DEGLI ANNI '50 (di Michele Baccinelli)
(ANSA) - ROMA, 5 AGO - MARCO IARIA, 'DONNE, VODKA E GULAG' (ED. LIMINA, PP.148, 19,90 EURO).
Cosa sarebbe successo se Diego Armando Maradona fosse finitonel girone infernale dei desaparecidos sotto la dittaturamilitare argentina? Il mondo avrebbe perso il suo campionario difinte e dribbling impossibili in mezzo al campo. E di follia eirresolutezza fuori dal rettangolo verde. Una situazione impossibile da immaginare, se non fosse giàrealmente successa nella Russia del dopo Stalin. Siamo nellaseconda metà degli anni '50, sulle maglie della nazionalecampeggia ancora la scritta CCCP e si sta facendoprepotentemente strada un giovane dal talento immenso e dalcarattere ancora più imprevedibile: Eduard Streltsov, puntadella Torpedo Mosca, squadra minore imparentata con la Zil, lafabbrica di automobili di Stato e in procinto di lanciare lasfida ai club che sino ad allora dominavano il calcio sovietico:la Cska dell'Armata Rossa e la Dinamo del Kgb. A soli 18 anni, in una storica semifinale olimpica del 1956contro la Bulgaria, Streltsov si caricò sulle spalle la suanazionale, ridotta di fatto in nove per gli infortuni, e segnòdue gol nei supplementari. Per vedersi poi escluso dalla finaleper un'assurda scelta tecnica. Niente medaglia d'oro: quella,per le altrettanto assurde regole russe, spettava solo a chiaveva calcato il campo in finale. «Tienila tu, vincerò moltialtri trofei», rispose Streltsov al compagno che, con sguardocolpevole, gli offriva la sua. E fino all'estate del 1958 ilpronostico di 'Edik' sembrava azzeccato. La sua fama cresceva,merito anche del suo colpo di tacco, che ancora oggi in Russiasi chiama 'Colpo alla Streltsov'. Ma insieme alla fama presso ilpubblico, cresceva anche l'insofferenza dell'establishment russoverso questo giocatore che rifiutava l'idea dell'uomo nuovosocialista, si vestiva all'occidentale, fumava troppe sigarette,beveva troppa vodka e piaceva troppo alle donne. Sfruttando proprio queste due debolezze, nel maggio del 1958venne orchestrato un processo truffa, che vide Streltsovaccusato di stupro e condannato, dopo soli due giorni e sullabase di prove sommarie, a 12 anni di lavori forzati in un gulag.Il Pelè russo, come era già soprannominato, non potè cosìsfidare il vero Pelè in Svezia, dove l'allora 18ennefuoriclasse brasiliano si mise per la prima volta in mostra difronte al mondo intero. La condanna fu poi dimezzata e Streltsov, dopo due annidall'uscita dal gulag, riuscì anche a tornare a giocare evincere, arrivando nuovamente fra i primi 10 nelle classifichedel Pallone d'Oro. Ma ormai il fisico era debilitato e Streltsovdisse addio al calcio giocato a 33 anni, per spegnersi poi asoli 53, solo dopo aver giurato alla propria famiglia di essereinnocente di quel reato che gli distrusse prima la carriera epoi la vita. (ANSA).

domenica 1 agosto 2010

Recensione su gazzetta.it

E' stata pubblicata una recensione del mio libro sul sito della Gazzetta dello Sport, a firma di Valerio Piccioni:


Streltsov, un teddy boy nel gulag
MILANO (31 luglio 2010) - Meroni, Best, Cassano…Da quando è uscito, «Donne, vodka e gulag», il libro scritto da Marco Iaria che Limina ha mandato in libreria qualche giorno fa, sta trovando per il protagonista Eduard Streltsov tanti paragoni d’autore. Ci si potrebbe mettere sopra, come colonna sonora, pure il Vasco Rossi della «Vita spericolata» e il quadro sarebbe fatto. Ma Streltsov, il Teddy boy sovietico, spedito nel gulag dal premier dell'epoca, Kruscev e scongelato poi da Breznev, quasi una capriola della storia se non altro per questo, ha qualcosa di tutto suo.

FRA KRUSCEV E BREZNEV — Lo capisci dalle belle foto che sono la sosta ai box di un volume che si legge d'un fiato, quel passaggio troppo rapido dal ciuffo ribelle e lo sguardo di chi sa tutto della vita, tipico atteggiamento di chi riesce bene con il pallone, al sorriso reduce e stempiato del dopo. Dopo le accuse di stupro, dopo la Nazionale e la Torpedo perduta, dopo l'isolamento, dopo il Gulag con il suo contorno di trenta, quaranta gradi sotto zero. In mezzo c'è il mistero di un uomo. L'autore non ci dice: fu un errore giudiziario. Oppure: era innocente. Consente al lettore di farsi un'idea, di radunare i fatti e tradurli in opinione: l'ipotesi di una vendetta di una potente donna del Politbjuro, il voler studiare per forza, il non riuscire a staccarsi dal calcio e il sogno di tornare un giorno. Un giorno che arriverà, dopo un'interminabile vertenza. Forse il momento più bello del racconto è proprio l'avvicinarsi di questo ritorno, con la formazione delle riserve della sua Torpedo, nello stadio di Odessa, tutto per lui. In un'epoca, i primi anni '60, in cui la televisione era una bambina e i giornali schiavi impotenti della censura e del politicamente corretto, altro che perestrojka e Gorbaciov. Eppure a un certo punto, per il passaparola può bastare una radio locale, quello stadio si riempie, ora sono quarantamila e capisci che il gulag non ha spezzato il filo della memoria, Streltsov è rimasto nell'immaginario, con i suoi gol, due subito, nel primo quarto d'ora, tanto per ricordare subito a tutti che non s'è scordato cosa si fa con un pallone. «Donne, vodka e gulag», scritto con dovizia cronistica, ma senza la fretta tipica di una scrittura troppo giornalistica, ci dice anche quanto lo sport possa essere una chiave per studiare la storia del mondo. Non sarebbe male, insomma, se qualche professore decidesse di adottarlo anche sui banchi di scuola…
Valerio Piccioni