sabato 23 agosto 2014
Il libro recensito dal settimanale svizzero Die Weltwoche
venerdì 2 agosto 2013
"Donne, vodka e gulag" il 23 agosto al Festival delle Storie
domenica 17 giugno 2012
A distanza di due anni, ne parla pure El Pais
Ecco l'articolo scritto da Juan José Mateo:
Streltsov, el delantero que ‘murió’ en el Gulag
Le llamaban el Pelé blanco, pero los obreros de la Zil, la fábrica madre de su equipo de fútbol, el Torpedo, no estaban de acuerdo: “Si Pelé bebiese tanto café como vodka bebe Streltsov, moriría”. La vida del delantero soviético (1937-1990) está resumida en el título de un libro: Mujeres, Vodka y Gulag,del italiano Marco Iaria. El ariete fue campeón olímpico en 1956, se clasificó séptimo en el Balón de Oro de 1957, debutó con un triplete goleador en la selección soviética, y no se enfrentó a España en la final de la Eurocopa de 1964 porque ya no se atrevía a beber, tratar con las mujeres y llevar el pelo cortado como los chavales británicos: tras cargar troncos a 40 grados bajo cero, trabajar en la transformación de uranio para un reactor nuclear o deslomarse en una mina de granito, ya no era el mismo. Aún tenía prohibido competir profesionalmente. A los 20 años, había sido declarado culpable de una violación que nunca quedó clara y se había pasado cinco años preso del Gulag, el duro sistema de trabajos forzados soviético.
“Aquellos cinco años en el Gulag le cambiaron profundamente”, explica Iaria. “Antes era una chico radiante, a veces arrogante, al que no le importaban las buenas maneras. Con aquel look, con el pelo a lo teddy boy [subcultura británica conocida por su forma de vestir], estaba muy lejos de la imagen severa del joven soviético. Parecía un chico de Londres o Nueva York. Tras el Gulag, sus noches de sexo y alcohol se redujeron notablemente… En resumen, fue domesticado por el régimen”.
Ese carácter ejemplarizante, icono puesto de rodillas como aviso a navegantes, permanece en las hemerotecas (“Enfermedad de una estrella: fuma, bebe, provoca peleas”, escribía el Pravda, diario oficial del régimen) y se estudia también en las facultades. “A pesar de verse suavizada respecto a los años 40, la prisión soviética mantiene un fuerte carácter reeducador, centrado en deportaciones y campos de trabajo en esos años 50 y 60”, resume Gutmaro Gómez, doctor en historia especializado en Historia penal y penitenciaria en los siglos XIX y XX. “Al igual que escritores, artistas e intelectuales, la vida privada de los deportistas era controlada milimétricamente”, añade.
Eduard Streltsov no era un futbolista cualquiera. Gabriel Hanot, editor de L’Équipe, había dicho de él que tenía “la estatura de un semidiós”. Llenaba estadios en Rusia, donde le pretendían los grandes equipos de Moscú, igual que algunos conjuntos de Inglaterra y de Suecia.
“Su vida explica la paranoia de la dictadura comunista”, coincide Iaria; “porque no hacía propaganda anticomunista, su anticonformismo no tenía fines políticos, solo quería comportarse como cualquier chico de occidente, y por eso acabó siendo considerado enemigo del pueblo”, sigue. “Aquellos campeones del deporte, en la URSS como en otros países comunistas, tenían una doble misión: vencer para contribuir a la supremacía del sistema soviético y ser ejemplo para las jóvenes generaciones. En los años 50 y 60, el fútbol se había convertido en un fenómeno de masas, y los funcionarios del partido comunista no querían correr el riesgo de que los jóvenes siguieran el ejemplo negativo de Streltsov, un ídolo”.
Tras pasar por el Gulag, el punta acabó volviendo a la selección y se convirtió en el cuarto máximo goleador de la historia del equipo pese a una ausencia de ocho años: marcó 25 tantos en 38 partidos, fue elegido el mejor futbolista soviético en 1967 y 1968 y ganó una Liga y una Copa con su equipo, el Torpedo (99 tantos en 222 encuentros). En una época en la que el fútbol soviético era orden y mecanismos prefabricados, él era un verso suelto dentro y fuera de la cancha, con sus taconazos y sus fiestas.
Streltsov murió de un tumor en un pulmón. Hoy el estadio del Torpedo lleva su nombre, y una moneda conmemorativa y dos estatuas le recuerdan. Le decían Pelé, pero si hubiera nacido más tarde le hubieran dicho George Best: “Fue uno de los rebeldes de la historia del fútbol”, resume Iaria. “Una especie de Best con una profunda diferencia: Best vivió en la libertad del Reino Unido y Strelsov se las tuvo que ver con el régimen soviético, que hasta la época del deshielo toleró mal las desviaciones del modelo del perfecto hombre socialista”.
giovedì 21 aprile 2011
Il libro "Donne, vodka e gulag" finalista al Bancarella Sport
Un’edizione particolarmente ricca, la numero 48 del Premio Bancarella Sport, che vivrà l’atto finale sabato 16 luglio, alle 18, a Pontremoli, alla vigilia dell’assegnazione del premio letterario Bancarella, un weekend davvero speciale con la regia della Fondazione Città del Libro che, in collaborazione con il Panathlon International. Organizza questo premio per “diffondere e valorizzare gli ideali sportivi e culturali e infondere nei giovani sane passioni sportive”.
Ben 95 le opere in concorso, la Commissione presieduta da Paolo Francia, si è riunita questa mattina, nella sede della Banca Cesare Ponti a Milano, per scegliere i sei libri finalisti. Che sono: ‘Africa Bomber’ di Goffredo De Pascale (edizioni Add), ‘I diavoli di Zonderwater’ di Carlo Annese (Sperling&Kupfer), ‘La vita ai supplementari’ di Giovanni Galli (Rizzoli), ‘L’eroe dei due mari’ di Giuliano Pavone (Marsilio), ‘Donne, vodka e gulag’ di Marco Iaria (Limina) e ‘I giganti del mare’ di Franco Esposito e Marco Lo Basso (Guida editore).
La Commissione era composta da Giuseppe Benelli (presidente Fondazione Città del Libro), Claudio Giumelli (consigliere Fondazione Città del Libro), Ignazio Landi (consigliere Fondazione Città del Libro), Enrico Prandi (presidente Panathlon International), Claudio Bertieri, Danilo Di Tommaso (direttore Comunicazione e rapporti con i media del Coni), Paolo Liguori (Tgcom - Mediaset), Giovanni Bruno (Sky Sport), Bruno Gentili (Rai), Daniele Redaelli (Gazzetta dello Sport), Antonio Barillà (Corriere dello Sport), Mimma Caligaris (Ussi), e dal segretario del Premio Bancarella Sport Giorgio Cristallini..
I sei volumi della sestina vincitrice passano ora all’esame e alla votazione del Collegio dei 70 grandi elettori.
venerdì 14 gennaio 2011
Recensione su www.girodivite.it
Ecco la recensione scritta da Emanuele Gentile del Centro Studi Est Europa (soon East Observer) e pubblicata sul sito www.girodivite.it:
Molti pensano che la storia sia il frutto dell’interazione fra personaggi illustri, vicende straordinarie e correnti di pensiero. Posizione condivisibile. Certamente. Essa, tuttavia, implica un’interpretazione riduttiva della storia. Come se personaggi “minori”, eventi particolari e sensibilità originali non fossero da comprendere nell’eterno fluire della storia. La storia – altrimenti – è un valore assoluto che non può essere oggetto di atteggiamenti parziali o analisi restrittive.
Ecco perché ho trovato molto interessante il libro di Marco Iaria “Donne, vodka e gulag” pubblicato per i tipi della Limina. Infatti, è un libro che ricostruisce un periodo complesso e difficile della nostra recente storia partendo dalla vicenda terrena di uno dei più grandi calciatori russi di tutti i tempi: Eduard Streltsov. Un nome che a buona parte dei nostri lettori non dirà nulla.
Tale impostazione è già in nuce dal titolo. Magistrale. In appena tre parole l’autore sintetizza la vicenda di questo asso del pallone in attività fra gli anni cinquanta e gli anni sessanta. Donne, vodka e gulag racchiudono gli ambiti dell’esistenza di Streltsov. Esistenza distrutta dall’amore fin troppo manifesto per le donne e la vodka. Amore, trasformatosi in terribile inferno, a causa dei cinque anni trascorsi nei gulag. A causa di un’accusa infamante: stupro.
L’autore ci racconta Streltsov utilizzando una prosa agile e penetrante. Sembra quasi di leggere il diario privato dello stesso Streltsov tanto si è riusciti a entrare nei suoi anfratti umorali più riservati. A rendere ancora più piacevole la lettura è l’aver sovrapposto due livelli storici di riferimento: gli accadimenti nell’Unione Sovietica e nel mondo.
Il risultato è che patteggiamo tutti per Streltsov in quanto più persona che personaggio. Proprio questo credo sia la motivazione per cui fu arrestato dalle autorità sovietiche. Voleva essere solo un giocatore di pallone e non un simbolo delle conquiste del socialismo reale. Comportamento poco in linea con l’agiografia del periodo. In fin dei conti Streltsov è indifferente alla politica. Il calcio è al centro del suo essere. Il resto non gli interessa minimamente.
Streltsov è stato una delle poche luci provenienti da quel mondo ermetico denominato Unione Sovietica. Alla fin fine ha vinto lui. Nonostante tutto. Ci ricordiamo con immenso piacere le sue giocate portentose espressione di un talento inarrivabile. La sua vittoria. La vittoria di un uomo semplice contro un apparato ossessivo e straniante.
“Eduard Streltsov, il campione”. Solo questo e nulla di più.
sabato 7 agosto 2010
Recensione sull'Ansa
LIBRO DEL GIORNO:STRELTSOV, PELÈ RUSSO CHE FINÌ IN GULAG/ANSA
DA NAZIONALE A CONDANNA, STORIA DI UN TALENTO DEGLI ANNI '50 (di Michele Baccinelli)
(ANSA) - ROMA, 5 AGO - MARCO IARIA, 'DONNE, VODKA E GULAG' (ED. LIMINA, PP.148, 19,90 EURO).
Cosa sarebbe successo se Diego Armando Maradona fosse finitonel girone infernale dei desaparecidos sotto la dittaturamilitare argentina? Il mondo avrebbe perso il suo campionario difinte e dribbling impossibili in mezzo al campo. E di follia eirresolutezza fuori dal rettangolo verde. Una situazione impossibile da immaginare, se non fosse giàrealmente successa nella Russia del dopo Stalin. Siamo nellaseconda metà degli anni '50, sulle maglie della nazionalecampeggia ancora la scritta CCCP e si sta facendoprepotentemente strada un giovane dal talento immenso e dalcarattere ancora più imprevedibile: Eduard Streltsov, puntadella Torpedo Mosca, squadra minore imparentata con la Zil, lafabbrica di automobili di Stato e in procinto di lanciare lasfida ai club che sino ad allora dominavano il calcio sovietico:la Cska dell'Armata Rossa e la Dinamo del Kgb. A soli 18 anni, in una storica semifinale olimpica del 1956contro la Bulgaria, Streltsov si caricò sulle spalle la suanazionale, ridotta di fatto in nove per gli infortuni, e segnòdue gol nei supplementari. Per vedersi poi escluso dalla finaleper un'assurda scelta tecnica. Niente medaglia d'oro: quella,per le altrettanto assurde regole russe, spettava solo a chiaveva calcato il campo in finale. «Tienila tu, vincerò moltialtri trofei», rispose Streltsov al compagno che, con sguardocolpevole, gli offriva la sua. E fino all'estate del 1958 ilpronostico di 'Edik' sembrava azzeccato. La sua fama cresceva,merito anche del suo colpo di tacco, che ancora oggi in Russiasi chiama 'Colpo alla Streltsov'. Ma insieme alla fama presso ilpubblico, cresceva anche l'insofferenza dell'establishment russoverso questo giocatore che rifiutava l'idea dell'uomo nuovosocialista, si vestiva all'occidentale, fumava troppe sigarette,beveva troppa vodka e piaceva troppo alle donne. Sfruttando proprio queste due debolezze, nel maggio del 1958venne orchestrato un processo truffa, che vide Streltsovaccusato di stupro e condannato, dopo soli due giorni e sullabase di prove sommarie, a 12 anni di lavori forzati in un gulag.Il Pelè russo, come era già soprannominato, non potè cosìsfidare il vero Pelè in Svezia, dove l'allora 18ennefuoriclasse brasiliano si mise per la prima volta in mostra difronte al mondo intero. La condanna fu poi dimezzata e Streltsov, dopo due annidall'uscita dal gulag, riuscì anche a tornare a giocare evincere, arrivando nuovamente fra i primi 10 nelle classifichedel Pallone d'Oro. Ma ormai il fisico era debilitato e Streltsovdisse addio al calcio giocato a 33 anni, per spegnersi poi asoli 53, solo dopo aver giurato alla propria famiglia di essereinnocente di quel reato che gli distrusse prima la carriera epoi la vita. (ANSA).
domenica 1 agosto 2010
Recensione su gazzetta.it
Streltsov, un teddy boy nel gulag
MILANO (31 luglio 2010) - Meroni, Best, Cassano…Da quando è uscito, «Donne, vodka e gulag», il libro scritto da Marco Iaria che Limina ha mandato in libreria qualche giorno fa, sta trovando per il protagonista Eduard Streltsov tanti paragoni d’autore. Ci si potrebbe mettere sopra, come colonna sonora, pure il Vasco Rossi della «Vita spericolata» e il quadro sarebbe fatto. Ma Streltsov, il Teddy boy sovietico, spedito nel gulag dal premier dell'epoca, Kruscev e scongelato poi da Breznev, quasi una capriola della storia se non altro per questo, ha qualcosa di tutto suo.
FRA KRUSCEV E BREZNEV — Lo capisci dalle belle foto che sono la sosta ai box di un volume che si legge d'un fiato, quel passaggio troppo rapido dal ciuffo ribelle e lo sguardo di chi sa tutto della vita, tipico atteggiamento di chi riesce bene con il pallone, al sorriso reduce e stempiato del dopo. Dopo le accuse di stupro, dopo la Nazionale e la Torpedo perduta, dopo l'isolamento, dopo il Gulag con il suo contorno di trenta, quaranta gradi sotto zero. In mezzo c'è il mistero di un uomo. L'autore non ci dice: fu un errore giudiziario. Oppure: era innocente. Consente al lettore di farsi un'idea, di radunare i fatti e tradurli in opinione: l'ipotesi di una vendetta di una potente donna del Politbjuro, il voler studiare per forza, il non riuscire a staccarsi dal calcio e il sogno di tornare un giorno. Un giorno che arriverà, dopo un'interminabile vertenza. Forse il momento più bello del racconto è proprio l'avvicinarsi di questo ritorno, con la formazione delle riserve della sua Torpedo, nello stadio di Odessa, tutto per lui. In un'epoca, i primi anni '60, in cui la televisione era una bambina e i giornali schiavi impotenti della censura e del politicamente corretto, altro che perestrojka e Gorbaciov. Eppure a un certo punto, per il passaparola può bastare una radio locale, quello stadio si riempie, ora sono quarantamila e capisci che il gulag non ha spezzato il filo della memoria, Streltsov è rimasto nell'immaginario, con i suoi gol, due subito, nel primo quarto d'ora, tanto per ricordare subito a tutti che non s'è scordato cosa si fa con un pallone. «Donne, vodka e gulag», scritto con dovizia cronistica, ma senza la fretta tipica di una scrittura troppo giornalistica, ci dice anche quanto lo sport possa essere una chiave per studiare la storia del mondo. Non sarebbe male, insomma, se qualche professore decidesse di adottarlo anche sui banchi di scuola…
Valerio Piccioni